24 January 2007

Nata due volte

Hanno partecipato alla nostra serata Carla Di Veroli, Assessora alla Cultura del Municipio XI del Comune di Roma e Giandomenico Curi, regista del film

L’ANED (Associazione Nazionale ex Deportati Politici nei Campi Nazisti) e la Fondazione Memoria della Deportazione presentano:

Nata due volte (storia di Settimia ebrea romana) tratto da un’intervista dell’archivio della Shoah Foundation;

Prodotto da: provincia di Roma, provincia di Salerno, comune di Roma, Istituto Luce, Fondo Assistenza Vittime delle Persecuzioni Naziste, Università degli Studi Roma tre.

Con Settimia Spizzichino e la partecipazione di Angela Benincasa, Pupa Garriba, Aldo Pavia, Alessandro Portelli, Franco Bruno Vitolo.

Riprese: Video Sign di Salerno (Mimmo Cuomo e Antonio Senatore). Ricerche storiche: Antonella Tiburii. Musiche a cura di Nando Citarella. Montaggio: Marcelo Lippi.

Organizzazione: Carla Di Veroli

Regia: Giandomenico Curi.

Anno: 2005 Durata: 60 min.

Il film è stato premiato nell’ambito della terza edizione del “Premio Cinema PITIFEST” in riconoscimento dell’importanza del valore della memoria, che esso contribuisce a trasmettere, ed in ricordo dell’impegno/testimonianza di Settimia Spizzichino.

“Ci sono cose che tutti vogliono dimenticare. Ma io no. Io della mia vita voglio ricordare tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama Auschwitz. Due anni in Polonia (e in Germania), due inverni. E in Polonia l’inverno è inverno sul serio, è un assassino. Anche se non è stato il freddo la cosa peggiore. Tutto questo è parte della mia vita, e soprattutto è parte della vita di tanti altri che dai lager non sono usciti. E a queste persone io devo il ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L’ho giurato quando sono tornata a casa. E questo mio proposito si è rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno osa dire che tutto ciò non è mai accaduto, che non è vero. Per questo sono tornata: per raccontare. “

Un film su Settimia Spizzichino non può non partire da qui, da questo impegno preciso che ha guidato la sua vita e la sua storia da quando è tornata dai campi di sterminio fino alla sua morte avvenuta nel luglio del 2000. Andava dappertutto Settimia, da sola o in compagnia. Spesso si muoveva con quelli dell’ANED, l’Associazione Nazionale ex Deportati Politici nei Campi Nazisti. Ovunque c’era da portare una testimonianza in prima persona su quello che era stato l’orrore infinito dei campi e della Shoah tutta. Non aveva paura di niente. Sicura, decisa, precisa, “tignosa” direbbero a Roma, la sigaretta sempre accesa, la voce appena incrinata dall’emozione, quel suo dialetto giudaico romanesco, che era un incanto, e che ormai non esiste più. E ogni volta era come ricominciare da capo, rimettere in fila la sua vita, con quella scia di ricordi, dolore, rabbia… Il 16 ottobre 1943, la grande razzia del ghetto, i nazisti che deportano oltre mille ebrei romani, con tantissime donne…

Ne torneranno solo 15, e una sola donna, lei, Settimia, che prima ad Auschwitz e poi a Bergen-Belsen si impose di resistere, di sopravvivere all’orrore per poterlo raccontare. E così ha fatto per tutta la vita, andando nelle scuole, per strada, nelle fabbriche, tornando molte volte ad Auschwitz con i ragazzi delle scuole, ogni volta a spiegare e raccontare… E quando sono arrivati quelli della Shoah Foundation (la fondazione costituita da Steven Spielberg per raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti allo sterminio nazifascista), Settimia ha raccontato anche a loro. Li ha ricevuti in casa sua, addosso un abitino qualsiasi, la solita sigaretta in mano, e la storia che ricomincia, implacabile, attenta, commossa. Una testimonianza completa, che non fa sconti a nessuno, che non perdona, che ritrova tutti i carnefici, nazisti tedeschi e fascisti italiani. Ed è da lì, da una cinquantina di minuti di quella lunga intervista per la Shoah Foundation (quasi tre ore e mezzo di filmato) che è partito il nostro film. Più altre interviste e materiali di repertorio che abbiamo trovato all’Istituto Luce, ma non solo.

E insieme al coraggio della memoria, c’è un altro aspetto della sua straordinaria testimonianza che va evidenziato: il fatto di raccontare tutto questo dal punto di vista di una donna. Di una donna ebrea del suo tempo, che ha vissuto per intero la sua vita, anche prima e dopo i campi di sterminio. Di una donna che racconta la sua storia, e insieme le storie di tante altre donne che erano con lei in quella terribile esperienza, a cominciare dalla madre, le due sorelle, e una nipotina di pochi mesi. Massacrate ad Auschwitz, insieme a tutte le altre. Vite, facce, voci di donne. Tante donne trovate e perse nell’orrore di un campo di sterminio… Ma quando torna a casa Settimia è sola. E’ rimasta soltanto lei. Lei che ha preso la forza di tutte, per rappresentarle tutte, per diventare in qualche modo la loro voce, la loro memoria viva.

A loro è dedicato il film, alle donne del ghetto, ricordate nella foto che chiude il film, dopo i titoli di coda, con quelle tre ragazze del ghetto, giovanissime e bellissime, fotografate a Piazza Argentina proprio nel 1943, e probabilmente finite sui vagoni piombati diretti ad Auschwitz.

Giandomenico Curi


Un'intervista a Settimia Spizzichino

16 Ottobre 1943: il sabato nero degli ebrei di Roma


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